domenica 13 luglio 2014

...e ora parliamo di Kevin

Amo guardare film.
Amo farlo da quando ero bambina, ne guardo tantissimi e da essi spesso scopro che ci sono romanzi da leggere...
La cosa non mi spaventa, non ho paura di aver visto il film prima di leggere un libro, perché sono due piani narrativi completamente diversi. Mi capita di vedere un film che mi piace, più di una volta, poi leggo il libro  guardo ancora il film, fino a quando capisco quanto amore provi il regista per l'opera che ha trasposto sullo schermo e quanto gli attori l'abbiamo fatto proprio. 
Per l'ennesima volta questa cosa è accaduta con il film "...E ora parliamo di Kevin" e dopo tutto il percorso fatto, fino alla lettura del romanzo, faccio veramente fatica a parlarne. Posso dirvi solo che provo tristezza nell'averlo terminato e credo che durante l'inverno lo rileggerò. 
Partirò, per questo, parlando del lungometraggio della regista scozzese Lynne Ramsay.





Nelle prime sequenze del film viene riassunta tutta l'immane tragedia che nel libro si dispiega lettera per lettera. ( Il romanzo è una fitta raccolta di lettere che la protagonista invia al marito Franklin).
Mentre scorrono le immagini della casa di famiglia deserta, e una sequenza in soggettiva ci invita a guardare cosa c'è dall'altra parte della finestra, iniziano a insinuarsi i primi suoni rivelatori dei momenti più cruciali della vita di Eva, la prima donna, come se fosse biblicamente la prima a scoprire altri aspetti della maternità che sembrano negati alle donne dalle sovrastrutture sociali che schiacciano i sentimenti più veri e istintivi della natura umana. Come se ci fosse un solo esempio, universale e perfetto di madre, come se il fatto di diventarlo, spogliasse le donne da altri sentimenti o stati d'animo, per rivestirle di un ruolo che tutti si aspettano.
Magistrale la scena del film nella quale Eva, distrutta dal pianto rabbioso e ininterrotto di Kevin neonato, si ritrova a passeggiare per le vie di New York mentre tutti la guardano con sguardo inquisitorio per quelle urla disturbanti del piccolo. Stremata, decide di riposarsi accostando la carrozzina a una zona di lavori, dove perfino il suono di un martello pneumatico riesce ad alleviare il peso abnorme che sente scenderle addosso giorno per giorno. 
Le prime sequenze del film continuano a sciogliersi sullo schermo in un mare di rosso che vede la protagonista, giovane e non ancora madre, in uno dei suoi lunghi viaggi di lavoro; i suoni si mescolano a quelli del famoso giovedì e questa lunga introduzione viene conclusa dall'immagine della madre che, immergendo il viso nell'acqua di un lavabo per sciacquarsi, diventa il volto del figlio adolescente e torna, poi, il viso di Eva.
In quelle immagini stanno tutte le lettere che Eva scrive a Franklin nel libro che ho appena terminato.
Il romanzo di Lionel Shriver, edito da Piemme, è l'appello che la protagonista fa a tutte le sue forze per coinvolgere il marito, irrimediabilmente perso, nella prima, vera decostruzione della realtà familiare che avevano creato.
Eva, con lucido dolore, ripercorre tutte le pagine di vita scritte con Franklin, Kevin e Celia, la loro bambina più piccola, le ripercorre dalla scelta di vivere la maternità come un altrove mai esplorato, alla perdita completa del suo passato, alla cancellazione definitiva di se stessa, in una continua, terribile guerra tra madre e figlio.
Nel romanzo Eva parla di Kevin al marito, come se glielo potesse presentare per la prima volta, al caro Franklin che per sedici anni anni non è stato consapevole di ciò che la madre aveva imparato a riconoscere giorno per giorno. 

A voi la lettura, le emozionanti quattrocentosettantasei pagine di dolore e di amore di una donna...

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