giovedì 25 luglio 2013

Il cimitero dei libri dimenticati di Zafón...anch'io sono stata catturata da "L'ombra del vento"

La prima volta che ho sentito parlare di quest'autore e di questo libro è stato all'aeroporto di Fiumicino, quando Ivan, mio cognato, è partito per San Francisco e la sua storia con una splendida studentessa conosciuta a Firenze si stava frantumando. Ricordo che io gli regalai  "Morte di mezza estate" di Mishima da leggere durante il viaggio e, parlando di libri, questa dolcissima e solare ragazza, che da quel giorno non avrei più visto né
 sentito, mi scrisse "L'ombra del vento" e il nome dell'autore, su un vecchio biglietto del treno che avevo in borsa. Ho capito che tra loro era proprio finita quando ci siamo abbracciate e lei mi ha stretta forte a sé, come per memorizzare un profumo che sarebbe svanito presto. Ho tenuto con me quella piccola grafia per anni e non ho mai letto il libro, fino a oggi. Con una mia amica, Alessandra, ci siamo date un appuntamento "libresco al buio": tutte e due dovevamo portare un libro che avremmo letto e condiviso. Io le ho prestato "Cortesie per gli ospiti" di MC Ewan e lei "L'ombra del vento"...Così ho aperto la prima pagina sul "Cimitero dei libri dimenticati" e da quel momento, come Daniel, il protagonista del romanzo, ho rincorso Julian Carax. Zafon racconta il lungo viaggio di Daniel verso la vita adulta, passando attraverso gli scaffali della libreria di famiglia e l'adozione del misterioso libro di Carax "L'ombra del vento", libro che gli cambierà radicalmente la vita e che il piccolo protagonista, undicenne, ha scovato nel Cimitero dei libri dimenticati, luogo segreto e sacro nel quale lo conduce il padre. Luogo anch'esso legato alle vicende dello sfortunato Julian Carax. Luogo di memoria,  luogo di passaggio e di cambiamento. La grande metafora di questa complessa vicenda, all'interno della quale ogni personaggio acquista un peso narrativo imprescindibile al tessuto della storia, è il valore concreto che ogni libro assume nelle vite del lettore. Da adolescente pensi che i libri ti cambino davvero la vita, da adulto ne sei convinto, perché ti rendi conto dei tuoi cambiamenti e delle tue riflessioni, allora li guardi, sono lì vicino a te e li cerchi per trovare conforto o per dissolvere dubbi o per sorridere...Sono lì, pronti a cadere nelle tue mani, a farsi sfogliare, a farsi annusare, a far vedere quanto siano ingialliti, dimostrazione del fatto che ti seguono da tanto, che prima le tue mani erano piccole e più bianche, oggi sono grandi mani.   
"Sono cresciuto tra i libri, in compagnia di amici immaginari che popolavano pagine consunte, con un profumo tutto particolare." (Cfr. ibidem p.7)
L'ombra del vento può essere considerato un romanzo di formazione, all'interno del quale il protagonista compie un'evoluzione fisica, emotiva e spirituale e riesce a elaborare un lutto, la morte della madre, ritrovandone definitivamente il volto che non riusciva a ricordare e facendosi accompagnare verso una delle tante discese della vita, che chiudono mondi e aprono universi. 
"In quell'istante rividi il volto di mia madre, il volto che avevo dimenticato tanti anni prima, come se avessi ritrovato un fiore tra le pagine di un libro. La sua luce intensa mi accompagnò durante la discesa." (cfr. ibidem p. 418)

martedì 23 luglio 2013

Se il diavolo porta il cappello...la rabbia e il coraggio di Ciro

Le persone che abbiamo intorno, lo dico sempre, ci cambiano la vita, costruiscono con noi i sentieri della conoscenza o ne condividono semplicemente il percorso e le gioie che da essi scaturiscono...Condivisione...Quanto amo e quanto credo in questa parola. "Partecipare insieme con altri allo spiegarsi delle cose, alla rivelazione della vita..."  Per il prossimo libro dico grazie a Rossella, la mia amica libraia di Cesenatico e alla piccola, grande Emma, una mia ex alunna che sarà una donna davvero speciale! Il giorno del mio compleanno "Se il diavolo porta il cappello" è arrivato a me grazie a queste due magnifiche creature...

Questo libro vuole poche parole, va letto, occorre tornare indietro, capire chi parla quando l'autore cambia carattere di scrittura, è la speranza di Ciro? La speranza di un ragazzino tanto infelice, tanto tormentato, tanto solo diventa parola? Siamo nel dopoguerra, fa da sfondo alla storia di Ciro un bellissimo e rurale paesaggio toscano, paesaggio che trasuda magia come tutta la nostra penisola ne è stata pervasa soprattutto in quegli anni. Ciro, figlio di una "strega" che ha osato amare l'uomo che non era stato scelto per lei, Ciro, figlio dello straniero che ha promesso al suo amore di tornare, Ciro, vittima del pregiudizio, lui, così biondo, così diverso dagli altri bambini, ricorda, con la sua presenza, la sua diversità, il peccato della madre, quella donna che nessuno, a parte la cara e dolce Nandina, vuole aiutare. Ciro, il nome con il quale il padre, che è stato a Napoli, chiama tutti i ragazzini, forse perché,  soldato americano, pensa che quella parola indichi il sostantivo "ragazzo". Ma forse Ciro in questa storia è un nome che racchiude in sé il destino dei molti bambini nati dalle ceneri di un paese sopraffatto dalla guerra. Di un paese macchiato, violato, ucciso dalla barbarie del secondo conflitto mondiale. Ciro, come "gGiro" della "Tammurriata nera", quella creatura "nira nira" nata dal ventre di una donna napoletana, Ciro, marchiato dal colore della pelle che urla la sua diversità, nonostante i paesani cerchino di dargli nomi come Francesco e Antonio, Giuseppe o Ciro quel bambino è nero come non si sa...Mentre il nostro Ciro, così chiaro, viene chiamato così solo dalla sua mamma e da Nandina, perchè per tutti gli altri"...sono l'americano, o, peggio ancora, il bastardo di Mara, la figlia di Sigaro." (cfr.p.15 ibidem) Ecco, Silei mi ha fatto pensare anche al testo di Nicolardi, "La tammurriata nera", canzone nata da un fatto realmente avvenuto, ma come si legge nello stesso testo, "Ne parlano le donne di quest'affare: Questi fatti non sono rari se ne vedono a migliaia!"(cfr.Canzoni contro la guerra). Peppe Barra ne interpreta una versione meravigliosa, ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo e per la prima volta ho ascoltato le parole di questa canzone, lui ne ha trasmesso la crudezza, il valore storico e il tragico, reale significato...


"Se il diavolo porta il cappello" può celare bene le corna, il suo aspetto animalesco e agire indisturbato, compiendo rituali e sortilegi...Silei tesse una tela che aumenta di ritmo mano  a mano che questa si dispiega rivelando misteri e meraviglie.  Vi ho trovato delle  magnifiche sequenze descrittive e personaggi dal forte impatto emotivo. 
Silei riesce a non cadere mai nel banale, a non farsi scoprire dal lettore esperto e a non fare abbandonare queste magnifiche duecentosessantaquattro pagine su un qualsiasi comodino... 

mercoledì 10 luglio 2013

Follia e una madame Bovary dell'Inghilterra degli anni '60

Il mio incontro con questo libro di Patrick MCGrath è avvenuto per caso, in una libreria di Verona, quando, dopo aver camminato tutto il giorno per la città, ho poggiato lo sguardo sulla vetrina colma di libri. 
Il mio tempo in questi luoghi si dilata e spesso mi rendo conto di passarci dentro delle ore, a toccare, leggere, annusare e sfogliare, ma a Verona ero con mio marito che, essendo un uomo pratico e risoluto, ha preteso, a un certo punto, che scegliessi il libro che volevo. 
Volevo comperare un'edizione di " Lolita ", perché è un classico che mi manca in libreria, ma ne ho stranamente perso le tracce e mi sono imbattuta su questo autore a me sconosciuto. Così ho scelto Follia, incuriosita dal tema dell'ossessione amorosa. 
Dalle prime pagine mi sono appassionata al linguaggio asciutto, quasi tecnico dal punto di vista psichiatrico, che mi ha fatto pensare ad alcuni romanzi dell'epoca vittoriana, vedi 
" Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde" di Robert Louis Stevenson. 

Il contenuto e la descrizione dell'animo femminile, della triste e passionale Stella Raphael, mi hanno fatto pensare alla mia amatissima Madame Bovary, povera creatura schiacciata dai sui stessi sogni, quei sogni che la società e le scelte di una breve e triste vita sono rimasti meravigliosamente tali e l'hanno portata, in un definitivo atto di coraggio, a lasciare la terra pur di non affrontare la vergogna alla quale l'avrebbero sottoposta le  regole del suo tempo. 



Per questo la bellissima e triste Stella Raphael mi ha subito affascinata e sono stata rapita dalla sua storia al punto di leggere il libro appena riuscivo a rubare un po' di tempo alle cose pratiche della mia quotidianità. 


Stella è la moglie di uno psichiatra in carriera che forse diventerà il direttore di un manicomio criminale di massima sicurezza, una specie di cittadella fortificata di architettura vittoriana. Siamo nel 1959, la famiglia Raphael si trasferisce nella residenza situata vicino all'ingresso principale dell'istituto. Sono in tre, Stella, il dottor Max Raphael e il piccolo Charlie. Le loro sono vite fatte di solitudine, di desideri individuali che non sono condivisi, di sogni che si frammenteranno come i vetri rotti della serra che Edgar Stark deve sistemare e come la passione che, violenta, romperà, un fragile e finto equilibrio fatto di silenzi urlati. Stella ed Edgar, un paziente uxoricida, si abbandonano alla passione che in breve tempo li travolge, come se dovessero aggrapparsi alla vita, come se avessero bisogno l'uno dell'altra per respirare, come se nascessero per la prima volta e capissero cosa voglia dire respirare. Per Stella quest'incontro rappresenterà il primo passo verso il buio, un buio che le ruberà tutto, ma forse la renderà libera, libera e forte: di scegliere e di sbagliare, di agire in qualsiasi modo pur di cancellare questo sentimento divorante, di volare e di addormentarsi, di amare e di perdersi.
Il libro è denso di indizi che portano alla tragica evoluzione degli eventi che cambiano repentinamente tingendo la lettura di colori foschi, la stessa meravigliosa Stella assume via via le tonalità del grigio...fino a diventare di tulle...un velo malridotto e appesantito dagli strappi.